Matrimonio della badante con l’assistito ultracentenario: il testamento va annullato?

La Cassazione ha deciso, con la sentenza n. 4653 depositata in cancelleria il 28 febbraio 2018, respingendo il ricorso proposto dalla seconda moglie del de cuius, già badante del medesimo, contro l’annullamento del testamento di quest’ultimo per circonvenzione d’incapace e conseguente liquidazione del danno in misura pari alla quota ereditaria per successione legittima di spettanza del coniuge.

CB, ultracentenario, redigeva testamento il 5 aprile 2002, nominando eredi sua nipote ex filio EB e la sua badante MCS. CB contraeva matrimonio con la stessa MCS in data 12 luglio 2002, cui rilasciava procura generale in data 7 agosto 2002. Alla morte di CB, veniva attribuita ad EB, in virtù del testamento del de cuius, la collezione di quadri di CB; mentre a MCS tutto il resto dell’asse.

SA, madre di EB ed unica erede testamentaria del precedente marito BA, figlio di CB e premorto al medesimo, introduceva un giudizio in data 13 gennaio 2005 davanti al Tribunale di Milano. In particolare, SA agiva (i) in proprio per il recupero della quota ereditaria di BA nella successione di AA, morta ab intestato nel 1985 e in regime di comunione dei beni con CB e (ii) come genitore esercente la potestà sulla minore EB (in seguito costituitasi al raggiungimento della maggiore età) per ottenere la declaratoria di nullità ovvero l’annullamento del testamento di CB, con conseguente apertura della successione legittima, accertamento della spettanza alla minore della quota di 1/2 del patrimonio del de cuius, e condanna della convenuta MCS al rilascio dei beni.

Il giudizio veniva sospeso, in attesa della definizione del processo penale a carico di MCS per il reato di circonvenzione d’incapace ai danni di CB. Formatosi il giudicato sulla sentenza penale di condanna della predetta al risarcimento dei danni materiali e morali da liquidarsi in separata sede, il processo veniva riassunto dalle attrici. Il Tribunale di Milano così decideva:

(i) quanto al recupero della quota ereditaria di BA nella successione di AA, accoglieva la domanda dell’attrice, avendo la stessa diritto alla metà dei beni caduti in successione;

(ii) annullava il testamento di CB, aprendo la successione legittima, per induzione sul de cuius ex art. 624 c.c., ravvisabile dal giudicato penale sulla condanna per circonvenzione di incapace che era stato indotto non solo a fare testamento, ma anche a contrarre matrimonio e a rilasciare procura in immediata sequenza;

(iii) condannava MCS al risarcimento del danno materiale a favore di EB, danno che veniva identificato nella quota ereditaria acquistata dalla convenuta per effetto del matrimonio, poiché il diritto all’eredità della convenuta era conseguenza dello status coniugale acquisito con l’attività delittuosa.

 

La Corte d’Appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale; MCS ricorreva in Cassazione.

La Suprema Corte rigettava il ricorso di MCS. In particolare, la ricorrente sosteneva che controparte avrebbe dovuto impugnare il matrimonio per vizio del consenso, sulla scorta della pronuncia penale. Sennonché il motivo veniva respinto perché secondo la Corte di Cassazione gli eredi sono ammessi ad impugnare il matrimonio contratto da uno dei coniugi che sia affetto da vizi della volontà o da incapacità di intendere e volere solo nel caso in cui l’azione sia già stata esercitata dal coniuge, il cui consenso o la cui capacità di intendere e volere risulti viziata. Ciò perché la trasmissibilità dell’azione di impugnazione del matrimonio del matrimonio costituisce una eccezione al principio del carattere personale della stessa; pertanto doveva escludersi la possibilità di una interpretazione estensiva o analogica dell’art. 127 c.c. Aggiungeva la Suprema Corte che l’azione di nullità non può essere promossa dal pubblico ministero dopo la morte di uno dei coniugi e che EB, unica discendente di CB, aveva visto ridursi sensibilmente l’aspettativa successoria proprio e solo per l’effetto del matrimonio indotto fraudolentemente: la quota ereditaria di MCS, che da un lato costituisce la principale utilità che la medesima intendeva ricavare dall’induzione di CB a contrarre matrimonio, al contempo esprimeva la misura alla quale poteva essere ragguagliato, nell’ambito di una liquidazione equitativa, il danno patrimoniale subito dalla parte civile, come conseguenza del reato.

Sui rapporti tra annullamento del testamento per incapacità naturale e processo penale per circonvenzione di incapace, la Suprema Corte, con sentenza del 2 ottobre 2015, n. 19767, aveva statuito che “non è configurabile un rapporto di pregiudizialità ai sensi dell’art. 295 c.p.c. tra il giudizio di annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore ed il processo penale per circonvenzione di incapace atteso che mentre, in quest’ultimo, l’accoglimento della domanda prescinde dall’esistenza di un pregiudizio e postula che, a cagione di un’infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, sia assolutamente privo della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi, in sede penale, l’accertamento dello stato di infermità fisica o deficienza psichica della vittima è necessariamente finalizzato alla dimostrazione della specifica incapacità naturale di cui avrebbe profittato l’imputato, in maniera da indurlo a compiere un determinato atto giuridico pregiudizievole per sé o per altri”. Altra sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 23 dicembre 2014, n. 27351 indicava che “poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a chi impugni il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo”. Precedente decisione della Cassazione del 24 novembre 1980, n. 6236 riteneva che “la domanda di annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore non è preclusa dall’esistenza di un giudicato penale di assoluzione dal reato di circonvenzione di incapace per insufficienza delle prove sull’attività dolosa del beneficiario del testamento impugnato per la captazione della volontà testamentaria dell’infermo”.

La Suprema Corte ha avuto più volte occasione di affermare i seguenti dicta: “per l’annullabilità di un testamento, ai sensi dell’art. 591 cod. civ., non basta la sussistenza di una qualsiasi infermità che turbi il processo di determinazione ed estrinsecazione della volontà, ma occorre che lo stato fisico-mentale del testatore sia tale da sopprimere del tutto l’attitudine a determinarsi liberamente e coscientemente” (Cass., 23 dicembre 2014, n. 27351; Cass., 8079/2005); “l’incapacità in questione deve avere caratteristiche tali da determinare, ove fosse stata abituale, la pronuncia di interdizione” (Cass., 23 dicembre 2014, n. 27351; Cass., 1444/2003);

Gli stati emotivi e passionali non sono sufficienti ad escludere la capacità di intendere e di volere (Cass., 23.12.2014, n. 27351; Cass., 1851/1980); poiché “lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a chi impugna il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore risulti affetto da incapacità totale permanente, nel qual caso spetta a chi vuole avvalersi del testamento dimostrare che esso fu redatto in un momento di lucido intervallo” (Cass., 11 agosto 1982, n. 4561; Cass., 12 agosto 2010, n. 18640; Cass., 23 giugno 2011, n. 13898; Cass., 23 dicembre 2014, n. 27351);”l’annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del “de cuius”, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi, con il conseguente onere, a carico di chi quello stato di incapacità assume, di provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacità di intendere e di volere “(Cass., 15 aprile 2010, n. 9081); “in tema di annullamento del testamento per incapacità naturale del testatore, costituisce onere, posto a carico di chi quello stato d’incapacità assume, provare che il testamento fu redatto in un momento d’incapacità di intendere e di volere del testatore, mentre, quando risulti lo stato di incapacità permanente di quest’ultimo, incombe a colui che faccia valere il testamento dimostrare che la redazione è avvenuta in un intervallo di lucidità” (Cass., 6 maggio 2005, n. 9508).

Infine, sotto il profilo probatorio va precisato che, per quanto attiene al valore della sentenza penale e degli accertamenti svolti in quella sede, è stato ritenuto che il materiale probatorio raccolto nell’ambito di un procedimento penale può costituire fonte, anche esclusiva, del convincimento del giudice civile, ancorché sia mancato il vaglio critico del dibattimento perché il procedimento penale si è concluso con dichiarazione di estinzione del reato per amnistia senza che perciò sia violato il diritto di difesa della parte (Cass. n. 16592 del 2005; Cass. n. 6502 del 2001; Cass., 30 gennaio 2013, n. 2168; Cass., 14 maggio 2014, n. 10599; nel merito, conformi Trib. Brindisi, decreto 3 aprile 2017).

Cassazione civile, sentenza 28 febbraio 2018, n. 4653

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