Lavoro in nero per stranieri
Lavoro in nero per stranieri
Il lavoro in nero per stranieri è reato: violazione dell'art. 22, comma 12, d.lgs. n. 286 del 1998 - Il lavoro nero per stranieri costituisce reato: violazione dell'art. 22, comma 12 del D.lgs. 286 del 1998
Quando il prestatore di lavoro è uno straniero senza regolare permesso di soggiorno il datore di lavoro commette un vero e proprio reato. Quindi, per chi assume un lavoratore extracomunitario irregolare, ovvero senza regolare permesso di soggiorno, scattano le sanzioni penali.
Fare lavorare un dipendente straniero privo di permesso di soggiorno, anche se questo è scaduto, ai sensi del decreto legislativo 286/1998, comporta la violazione dell’articolo 22 del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. Detto art. 22, comma 12, prevede che, colui che viola le norme sull’immigrazione facendo lavorare per conto della propria impresa uno straniero irregolare viene punito con una reclusione che va dai 6 mesi ai 3 anni, oltre ad
una multa di 5.000€. Inoltre, le pene previste possono essere aumentate da 1/3 alla metà qualora: i lavoratori irregolari occupati siano più di 3; tra i lavoratori irregolari ci siano dei minori; i lavoratori vengano sottoposti a condizioni lavorative di particolare sfruttamento.
A tal proposito, con Sentenza 8 luglio 2010, n. 25990, la Prima Sezione Penale della Cassazione ha affermato che “è onere del datore di lavoro verificare” il possesso del permesso di soggiorno, ovvero del documento assimilato, “indipendentemente dalle asserzioni e aspettative di colui al quale viene data occupazione (cfr. al riguardo Sez. 1, 25/10/06, Grimaldi, rv.235.083)”
Nel caso di specie la Corte ha respinto tutte le doglianze dell’imputato; l’uomo era stato assolto in primo grado sugli assunti che il lavoratore extracomunitario avesse prestato la propria opera per un lasso temporale esiguo e avesse garantito di aver richiesto il premesso di soggiorno; d’altro canto la corte riconosceva al datore di lavoro di non aver perseguito finalità di ingiusto profitto.
In Cassazione la parte impugnava la sentenza di condanna della Corte di Appello di Genova, deducendo violazione di legge per carenza di elementi soggettivi e oggettivi del reato; quanto al primo profilo i Giudici hanno precisato che la norma non prevede «che il soggetto attivo persegua finalità di ingiusto profitto» (è sufficiente, come già detto, la presenza di dolo generico), mentre in relazione all’elemento oggettivo la Suprema Corte ha confermato che “la stabilità del rapporto di lavoro non è requisito richiesto dalla norma incriminatrice di cui all’art. 22, comma 12, d.lgs. n. 286 del 1998 e la durata delle prestazioni effettuate non ha rilievo” essendo il reato, sotto un profilo sostanziale, consumato nel momento stesso in cui il lavoratore straniero venga occupato dal datore.
In conclusione la Suprema Corte ha ricordato che “solamente la regolare presenza in Italia dello straniero, che è onere del datore di lavoro verificare indipendentemente dalle asserzioni e aspettative di colui al quale viene data occupazione, esclude la sussistenza del reato”.
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